Non tutta l’essenza del gioco è incentrata solamente sull’azione: il pensiero, la pace e altre peculiarità dell’essere umano sono state spesso coinvolte per generare, di volta in volta, sensazioni diverse. A quanto pare thatgamecompany è maestra in questo genere di coinvolgimento e il sul suo curriculum può vantare opere come “Flow” e “Flower”, pilastri di una nuova forma di intrattenimento incentrata sulla calma e sulle percezioni. Nella mattinata del 19 Agosto, in uno degli Auditorium dell’Hotel Radisson, Jenova Chen, uno dei responsabili di thatgamecompany, ha presentato al pubblico “Journey” e ci ha fatto capire che, ogni tanto, farsi sopraffare dalla meraviglia non è affato un male.

Noi come astronauti

“Da dove è nata l’ispirazione per questo ‘Journey’? Io tempo fa ho parlato diverse volte con un astronauta. Lui mi raccontava che spesso tutti coloro che lavorano in questo tipo di settore scientifico sono molto materialisti: credono poco o per nulla in Dio e si affidano a dati e numeri. Poi arrivano sulla Luna, scendono sulla sua superficie e vedono la Terra da lontano, una piccola bigla blu che sembra così minuscola nell’universo. In quel momento vengono investiti da una sensazione di meraviglia e stupore e tornano a casa completamente cambiati, diventando estremamente più spirituali e spinti ad emozionarsi e stupirsi per ogni cosa.” Con questo commovente racconto, Jenova Chen desidera spiegare quale fu il primo passo che spinse la sua compagnia a progettare questo “Journey”: il titolo, ambientato in un immenso deserto, vuole innestare nel suo utente una singolare percezione della solitudine, un senso di piccolezza in un ambiente incredibilmente vasto dove per raggiungere la propria meta occorre muoversi, e muoversi, e muoversi, con la sensazione di non arrivare mai. “Questa è la sensazione che manca alla società odierna: ora noi siamo talmente pieni di conoscenze e di possibilità, spesso legate alla tecnologia, che ci sembra quasi di essere noi stessi come delle piccole divinità e quindi finiamo per dimenticare questa meraviglia, nella nostra convinzione di sapere moltissimo, tutto quello che c’è da sapere. Del resto, la palette emozionale dell’essere umano non è composta solo dell’azione che viene regalata dagli altri tipi di giochi ma ha anche delle zone dedicate alla calma, allo stupore: noi vogliamo stimolare proprio quelle.”.

Un immenso deserto di interazione umana

La presentazione prosegue con una piccola dimostrazione del gioco, in modo tale da farci comprendere le meccaniche essenziali di un titolo che, già di suo, fa di questa essenzialità la sua colonna portante. Con la funzione motoria del controller six-axis si controlla la telecamera: in questo modo si possono esplorare i dintorni e scoprire che lo scopo del gioco è raggiungere una montagna lontanissima e che l’unico modo per raggiungerla è improvvisare un viaggio in mezzo al deserto, senza la minima indicazione. Muovendoci tra la sabbia e le rovine (grazie alla leva analogica destra) scopriamo che questo deserto si comporta, in realtà, come una sorta di mare di sabbia: è possibile muoversi come su un surf al di sopra di alcune dune o onde di sabbia e possiamo saltare in giro per raggiungere alcune piccole rocce. Grazie a una limitata funzione di richiamo è possibile accumulare alcuni pezzi di stoffa (della quale è composto il nostro/la nostra protagonista umanoide) e utilizzarli per costruire ponti, superfici calpestabili o per volare per brevi distanze. In giro possiamo incontrare anche uno strano individuo, molto simile a noi ma completamente vestito di bianco: pare che voglia donarci un potere ma starà poi a noi scoprire di cosa si tratta, essendo il gioco privo di ogni indicazione e, quindi, propenso alla totale libertà del giocatore nei confronti di questa esperienza ludica. Nel gioco è presente anche una modalità multigiocatore che, come sospettabile, si attiva in una maniera altrettanto particolare: il giocatore può incontrare, nel deserto, altri giocatori connessi alla rete attraverso PSN; i due saranno liberi di ignorarsi completamente o di proseguire il viaggio insieme pur senza mai davvero comunicare. Non saranno presenti né un supporto chat scritto, né un nametag né una qualsiasi maniera di riconoscere chi abbiamo davanti: “Non importa il nome o l’età, è importante vivere l’esperienza insieme” dice Chen “e riuscire a capirsi attraverso le azioni e i piccoli richiami che il gioco mette a disposizione. Perché anche se si viaggia in due le sensazioni di stupore e solitudine devono rimanere intatte.”.

Conclusione

“Journey”, Viaggio: una parola che da sola affascina, conquista. Un viaggio di scoperta attraverso un deserto apparentemente senza fine, senza la possibilità di comunicare, senza qualcuno ad indicarci la via. Il tutto per farci capire quanto, nel mondo, noi siamo piccoli e insignificanti: a quanto pare, thatgamecompany ha tutta l’intenzione di risvegliare in noi la capacità di godere al meglio delle piccole e delle grandi meraviglie della vita. Sapremo accogliere al meglio questo invito?