From Software è lo studio di sviluppo che si cela dietro alla serie Armored Core, titoli dedicati alle battaglie tra potenti mech (o “robottoni”). In pochi sanno che gli stessi sviluppatori hanno realizzato, tempo fa, un certo King’s Field, definito spesso come il “progenitore” del titolo di cui parleremo a breve. Demon’s Souls è l’ultima fatica di From Software, in ordine di tempo, è un videogioco di ruolo marcatamente action e dalle forti tinte gotiche e oscure, sviluppato in esclusiva per Playstation 3 e considerato, a buon diritto, tra i migliori titoli mai sviluppati. I molteplici riconoscimenti ricevuti dalle più blasonate testate giornalistiche del settore rafforzano la nostra tesi: Demon’s Souls è un capolavoro. Scopriamo insieme perché.
Benvenuti a Boletaria: l’ennesimo regno minacciato da orde di demoni
La storia che gravita intorno alle gesta del nostro alter-ego ricalca più o meno fedelmente i più classici canoni delle opere fantasy. Il regno di Boletaria prosperava sotto la saggia guida del re Allant XII, che grazie al potere delle anime ha garantito pace, sicurezza e prosperità a tutta la popolazione. Ma un brutto giorno accade qualcosa di irreparabile, o quasi. Un’orda di demoni affamati invade il reame tramite una fitta nebbia, isolando Boletaria dal resto del mondo. Lentamente il palazzo del re e tutto il territorio controllato sono svuotati dei loro occupanti e riempiti da creature orribili che hanno preso il posto dei vivi: demoni assetati di vita e di anime, che diventano sempre più potenti con il trascorrere del tempo Le poche persone che sono riuscite a fuggire dal disastro, la rovina e la furia dei demoni, si sono nascoste in un santuario chiamato Nexus. L’ultima persona a varcare la soglia del Nexus è proprio il nostro alter-ego, privato della vita ma – contrariamente a tutti gli altri – avendo ancora in dote la propria anima. E’ quindi dalla morte, dall’apparente fine prematura del gioco, che invece comincia la nostra avventura. Il compito estremo affidato al giocatore-protagonista è quello di farsi largo tra i demoni nei luoghi di maggior interesse di Boletaria per riportare al Nexus le personalità più importanti del regno, gli unici eroi in grado di fornirci l’aiuto necessario per vittoria finale.
Niente elfi, nani e razze assortite
Demon’s Souls si basa fortemente sul fantasy di matrice nord-europea. La prima conseguenza di ciò è che contrariamente a molti altri giochi di ruolo, possiamo appartenere solo ad una razza: quella degli uomini. Grande varietà, di contro, è riposta nelle varie razze di demoni minori, maggiori e arcidemoni che ci attendono nei quattro angoli del regno. All’inizio del gioco siamo chiamati a battezzare il nostro personaggio con un nome e – se gradito – un cognome, possiamo anche decidere se essere donne oppure uomini. Questa non è una scelta indifferente, poiché alcuni punti del gioco sono appannaggio esclusivo di personaggi femminili e altri, viceversa, ad esclusivo indirizzo maschile. Già dall’inizio, quindi, il gioco promette e incoraggia un alto grado di rigiocabilità, per tutti coloro che sono curiosi o desiderosi di completare il titolo al cento per cento. L’editor di personalizzazione del personaggio è notevole e ricorda, a tratti, quanto di buono visto in Oblivion. Possiamo decidere quale apparente età dimostrare, se avere la barba, fino a cesellare le occhiaie o le fossette sul viso.
L’eroe prende forma
Dopo aver superato la fase di personalizzazione fisica, ci troviamo di fronte all’importante scelta della classe del personaggio. A dire il vero il concetto stesso di “classe”, in Demon’s Souls, è ben diverso dai classici concetti che gli appassionati conoscono. Al di là del guerriero tutto muscoli e niente cervello o del mago molto debole fisicamente, il sistema di evoluzione del personaggio è abbastanza originale. I personaggi sono caratterizzati da sette features: forza, destrezza, resistenza, vitalità, magia, intelligenza, fortuna. Potenziare una volta, una di queste, comporta l’avanzamento di un livello del personaggio. Ecco così spiegato perché in partenza assistiamo ad un cavaliere di livello 4 e un nobile di livello 1. In altre parole quest’ultimo è un personaggio che non ha subito nessun incremento di livello/caratteristica da parte degli sviluppatori ed è quindi la classe preferita da tutti coloro che vogliono plasmare il proprio personaggio fin nei particolari. Le altre classi (come il già citato cavaliere) sono state già ritoccate dai programmatori e offrono un approccio diverso alla partita: il mago deve tenersi alla larga dai combattimenti corpo a corpo, il barbaro gode di molta potenza fisica ma nessuna protezione e così via.
Primi passi e primo impatto in quel di Boletaria
Demon’s Souls è diviso in grandi livelli. Il primo in ordine di apparizione è il Nexus, un ampio santuario in cui vagare per parlare con i personaggi non giocanti. Alcuni di questi offrono dei servigi quali: la vendita e la riparazione di armi e armature, il deposito di oggetti indesiderati, l’acquisto di materie prime per il miglioramento e la forgiatura di armi più potenti. Altri personaggi si offriranno di insegnare incantesimi e miracoli. Questi possono essere sfruttati solo con un livello sufficiente delle caratteristiche “magia” e “intelligenza”, e solo impugnando una bacchetta magica (o catalizzatore, come viene chiamato nel gioco). La moneta di scambio per tutto quello che è a nostra disposizione sono le anime dei demoni che uccidiamo durante le nostre esplorazioni. Le anime vanno spese anche per i sospirati e sudati potenziamenti di caratteristiche. Non esistono monete d’oro, argento o rame, nel maledetto reame di Allant, infatti, non potremo rivendere l’equipaggiamento sgradito per capitalizzare qualche “soldo”. Tutto ciò che non ci convince va depositato, ignorato o abbandonato. La difficoltà e il realismo della situazione di gioco è accentuato dalla possibilità (volontaria oppure no) di ferire e uccidere qualsiasi personaggio non giocante. In pratica possiamo sentirci liberi di uccidere tutti gli abitanti del Nexus, la conseguenza più truce è che senza di essi non possiamo far evolvere il nostro personaggio, né tanto meno renderlo più competitivo con equipaggiamenti migliori. Una nota di colore va dedicata alla specie di tutorial che dovrebbe istruirci durante i primi passi di gioco: in pratica dovremo scegliere, facoltativamente, se leggere oppure no i suggerimenti disseminati dagli sviluppatori lungo il primo livello. Se la nostra risposta è negativa dobbiamo scoprire tutto (ma proprio tutto) a nostre spese e con le nostre capacità di deduzione.
Uno dei più bei giochi mai visti? Forse.
Tecnicamente parlando assistiamo ad un vero spettacolo per i nostri occhi. Sebbene il gioco sia datato febbraio 2009 (questa la data d’uscita in territorio giapponese) non ha nulla da invidiare ai più recenti titoli approdati sugli scaffali. Tutto è al posto giusto, realizzato a regola d’arte. La telecamera è posizionata sulle spalle del protagonista (Tomb Raider docet, ndr) lo segue fedelmente in ogni sua mossa e i momenti in cui questa non aiuta il giocatore sono più unici che rari. Le routine del motore fisico sono affidate al potente e performante Havok, già visto in azione in Oblivion, Max Payne 2 e Half-Life 2, giusto per citarne tre a caso. I personaggi sono tutti discretamente realizzati, alcuni sono più ispirati di altri ma in generale la qualità è sopra la media. Il personaggio controllato dal giocatore è estremamente dettagliato, fin tanto che giostrando bene con la telecamera potremo scorgere lo sguardo del personaggio sotto la celata dell’elmo: sorprendente. La colonna sonora, per la maggior parte del tempo, non esiste: sentiremo musiche sinfoniche durante l’introduzione del gioco e quando affronteremo i boss di fine livello. Per il resto del tempo saremo immersi negli splendidi effetti sonori che ci faranno venire la pelle d’oca per la paura e l’inquietudine. Due piccole note di demerito riguardano l’assenza di espressioni facciali e di movimento delle labbra durante i dialoghi. Sebbene questi ultimi siano in inglese e ottimamente recitati, qualcosina in più poteva essere fatta per rendere i personaggi ancora più convincenti.
Le quattro arcipietre di Boletaria
Abbiamo accennato alla suddivisione in livelli che caratterizza tutto Demon’s Souls. Questa precisa scelta di From Software potrebbe trarre in inganno e far pensare che non vi sia libertà d’azione. Beh, non è così e ce ne accorgeremo presto: anche se al primo livello, incapaci di menare più di due fendenti ed equipaggiati con una spada d’ordinanza, niente e nessuno ci vieta di accedere al penultimo livello di gioco e di affrontare nemici ben al di fuori della nostra portata. La libertà di andare dove si vuole e di esplorare ciò che ci aggrada non è un miraggio dunque. Dal Nexus abbiamo la possibilità di toccare una delle quattro arcipietre. Queste sono dei potenti teletrasporti che collegano il santuario ad una delle quattro locazioni del gioco. Ogni locazione è suddivisa in quattro sezioni (o livelli) e ciascuna è difesa da un boss di “fine livello”. Più avanti andiamo, quindi, più forte sarà il boss incontrato, finché non si arriva allo scontro finale che dovrebbe sancire la vittoria del nostro eroe in quella locazione. Il level design, è semplicemente quanto di meglio possiamo aspettarci da un gioco del genere. Non dovendo, infatti, preoccuparsi di una mappa estesa e di un approccio “alla GTA”, come accadeva per Oblivion, gli sviluppatori hanno dato anima e corpo per realizzare alcuni tra i più suggestivi ed evocativi scenari che ci sia mai capitato di esplorare. Luoghi come “La Torre di Latria” o “Il Tunnel di Stonefang” sono tra i più inquietanti, affascinanti e ben realizzati, livelli mai visti sul monolite nero.
Non un gioco ordinario, non un gioco per tutti
Un gioco che comincia mostrando, sadicamente, la scritta “sei morto” dopo dieci minuti di esplorazione non è un gioco come gli altri. Il concetto stesso di “game over”, in Demon’s Souls, non esiste: se uccisi torneremo al Nexus, senza alcuna anima in nostro possesso e in forma di spirito. Quel che è peggio è che la morte del personaggio, in questo gioco, non è un episodio raro ed isolato, frutto magari di una disattenzione o un boss che ha avuto la meglio. In Demon’s Souls anche un casuale incontro con uno zombie o uno scheletro spadaccino può essere letale, specie se abbiamo la cattiva abitudine di sottovalutare gli avversari e di affrontarli senza degnarci di alzare uno scudo o mantenere le distanze di sicurezza per colpire da lontano.
La sensazione che nell’ultima fatica di From Software, la difficoltà sia decisamente tarata verso l’alto e sia impossibile abbassarla, comincia a divenire realtà dopo le prime ore di gioco: i nemici diventano sempre più coriacei, le armi convenzionali iniziano a fare il solletico e poco altro, il nostro personaggio cadrà dopo un paio di fendenti subiti dal “primo che passa”. E’ proprio questa la croce e la delizia del titolo, la difficoltà, impietosa e imparziale, che punisce tanto il giocatore superficiale, quanto il veterano che si permette il lusso di abbassare la guardia o di affrontare una locazione frettolosamente o distrattamente. Demon’s Souls è dannatamente difficile: giocatore avvisato…
Spettri bianchi, neri, blu e rossi
Demon’s Souls contempla una modalità di gioco ibrida, che fonde insieme sia l’esperienza in singolo che quella multi-giocatore. Prima di avviare la partita, infatti, il gioco effettuerà l’accesso al server ufficiale del gioco. Da quel momento in poi possiamo giocare tranquillamente la nostra partita ma avremo, in più, qualcuno da tenere sott’occhio. Durante le nostre esplorazioni, capita di imbattersi in spettri bianchi che ignorano – o quasi – la nostra presenza e sono occupati nelle loro vite: questi sono semplicemente altri giocatori connessi al server e che, come noi, stanno giocando la propria avventura. L’unico modo per interagire con loro è quello di lasciare dei messaggi per terra, questi possono essere scritti sfruttando un formulario e un vocabolario fornito dal gioco stesso. Non possiamo esprimere pensieri complessi, ma possiamo lasciare ai posteri un messaggio del nostro passaggio, un avvertimento, un consiglio prima di varcare la soglia di un boss o prima di affrontare un demone particolarmente tosto. Gli spettri neri, invece, si distinguono in due categorie. La prima è quella dei “Black Phantom” (spettri neri, per l’appunto) ovvero degli avversari in forma umana, spesso ricalcati sulle classi iniziali e gestiti dall’intelligenza artificiale. La seconda categoria di spettri neri è caratterizzata da altri giocatori, che invadono il nostro mondo di gioco e la nostra partita quando guadagnano la forma umana. In questi frangenti il titolo diventa estremamente competitivo e l’esito della battaglia dipende dalle abilità dei giocatori. Chi vince resta in vita, chi perde torna alla propria partita solitaria, senza anime e in forma spirituale. Gli spettri blu sono tutti quei giocatori che si offrono volontariamente per essere convocati da chi è in forma umana e ha bisogno di aiuto nella propria partita. Il party così formato può ospitare al massimo tre elementi, al termine della cooperazione ciascun giocatore può valutare la prestazione degli altri tramite un voto che va dalla valutazione S (il massimo) alla E (il minimo), passando per le vie intermedie A,B,C e D. Gli spettri rossi, infine, sono le emanazioni degli ultimi istanti di vita di un giocatore. In altre parole capiterà di trovare una pozza di sangue e di interagire con essa: da lì a poco apparirirà uno spettro rosso, che replicherà gli ultimi istanti di vita del malcapitato giocatore: un modo inquietante, affascinante e comodo di comprendere se la causa di dipartita di un giocatore sia stata una distrazione o un nemico superiore.
La perfezione non esiste
Demon’s Souls è un gioco straordinario tanto nei pregi quanto nei difetti. Tecnicamente offre il meglio che si possa desiderare arrivando al perfetto compromesso tra livelli realizzati a regola d’arte e livello di dettaglio tarato verso l’alto. Le uniche incertezze del motore grafico sono i proverbiali rallentamenti quando sullo schermo vi sono troppi effetti speciali o quando il motore fisico è sollecitato esageratamente, ma sono casi sporadici che non distolgono l’attenzione dalla magnificenza tecnica. L’altra spada a doppio taglio è la difficoltà estremamente alta, che rende questo titolo una chimera o la più bella sfida che un giocatore incallito possa affrontare. Bisogna segnalare che i ritmi di gioco sono certo controversi: la storia ci viene introdotta e spiegata all’inizio ma poi assume un ruolo di contorno, tuttavia non ci verrà mai dato un momento di respiro, perché i livelli saranno sempre colmi di avversari. Il punto focale non è salvare Boletaria ma perdersi nei suoi meandri e uscirne vivi e vincitori. La campagna non è lineare e si ha sempre e comunque la possibilità di esplorare più volte lo stesso livello. Tuttavia, ben sapendo che una buona gestione del personaggio, dell’equipaggiamento e dell’esplorazione porta immancabilmente alla risoluzione dei livelli, siamo certi che il pericolo di annoiarsi sarà ben lontano. Le ultime note negative riguardano l’assenza assoluta di una pausa di gioco e l’assenza di check-point intermedi nei livelli più estesi: che siano scelte precise di sviluppo o colossali sviste non è dato saperlo. Quello che sappiamo è che pur con questi difetti, il gioco mieteva, miete e mieterà consensi da critica e pubblico. Astenersi categoricamente tutti gli altri: la frustrazione e il nervosismo generati da questo titolo non devono mai essere sottovalutati. Demon’s Souls non è un gioco per tutti, ma solo per veri videogiocatori, di quelli pazienti, abili nel padroneggiare in breve il sistema di controllo e che si considerano esperti. E’ perfetto anche in ogni sua imperfezione, un autentico capolavoro di stile, una sfida epica, uno dei migliori giochi di ruolo d’azione di questa generazione. Forse il migliore in assoluto.