Se non avete mai sentito nominare Runic Games non è un caso. È una software house indipendente neonata, praticamente alle prese con il suo primo (ma sicuramente non ultimo) gioiello, questo Torchlight di cui non si è parlato affatto, o almeno non quanto abbia meritato. E forse gli appassionati o, più semplicemente, i giocatori di vecchia data tra di voi, sapranno che dietro questo team di sviluppo sconosciuto all’umanità si celano menti come Travis Baldree (creatore del simpaticissimo Fate), Max Schaefer e Erich Schaefer (co-fondatori di Blizzard North) e un po’ tutto l’equipaggio dell’ormai praticamente affondata Flagship Studios Seattle, che con Mythos non era andata proprio a gonfie vele, purtroppo. Torchlight è un progetto piuttosto coraggioso: il disperato tentativo di andare contro corrente nello spietato mondo del mercato, restando però in linea con la tradizione di mamma Blizzard, cercando al contempo di non cedere alla tentazione di scopiazzare troppo dai mostri sacri a cui la casa californiana ci ha abituati. Tentativo che, purtroppo, lo diciamo fin da subito, è riuscito solo in parte, pur regalandoci ore di sano divertimento e dandoci modo di poterci aspettare un futuro quantomeno roseo per Runic Games. Scopriamo insieme perché.
CHI DI BLIZZARD FERISCE…
Torchlight è un tradizionalissimo hack ‘n slash, non per niente figlio di menti che sono cresciute a pane e mucche assassine (colta la citazione? Ndr), ove unico scopo del giocatore sarà quello di scegliere tra i classici tre personaggi selezionabili (il guerriero tutto muscoli e pochi neuroni, la fanciulla esile ma che spara meglio di John Wayne, e il solito mago anonimo che non sceglie mai nessuno) e andare in giro a massacrare tutti i brutti ceffi che vagano per il mondo di gioco, possibilmente cercando di ignorarne il più possibile il perché, anche a causa di una trama che quasi ci ha fatto invidiare i film di Uwe Boll. Noi abbiamo scelto il mago. Sfortunatamente non è possibile di personalizzare le caratteristiche del proprio alter ego (né fisiche, né psichiche, né tantomeno estetiche), ma Runic Games ha pensato bene di rendere la generazione del nostro personaggio un tantino più interessante di come ci è apparsa inizialmente, chiedendo al giocatore di scegliere tra un cane o un gatto da portare con sé durante le proprie avventure (proprio come in Fate), in grado non solo di aiutare durante le battaglie più concitate ma anche (e soprattutto) di offrire pieno supporto in veste di facchino (leggasi bestia da soma), portando con sé tesori, armi, armature, oggetti, pizze, panini e vettovaglie varie senza mai lamentarsi, ma anzi offrendosi gentilmente di andare a depositarli in qualche luogo sicuro, nel caso il suo inventario dovesse riempirsi. Purtroppo è necessario mettere in chiaro che questa è l’unica feature che distingue Torchlight da un qualsiasi altro Hack ‘n Slash preso a caso. E non stiamo scherzando. Il primo impatto potrebbe essere esaltante per chi è nuovo del genere, ma chi ha girato in lungo e in largo tutta Azeroth, o ha salvato il mondo svariate volte in Diablo o in Diablo II, a stento digerirà un comparto grafico che, seppur eccellentemente renderizzato dal motore open source Ogre (con colori, modelli poligonali e texture davvero belli a vedersi), non sa allontanarsi neanche un po’ dallo stile grafico ormai rodato da Blizzard. Girovagando per i vari centri abitati (di cui il 90% ci ha ricordato un certo gioco di cui non faremo il nome) si potranno acquistare armi, vendere oggetti preziosi recuperati durante i nostri viaggi, ottenere incarichi utili per accumulare oro ed esperienza, e – più generalmente – andare avanti con la trama principale, parlando con i vari npc fondamentali: insomma, la ricetta di base per ogni Hack n’ Slash che si rispetti, ma senza alcuna spezia o ingrediente per renderlo vario o particolare. Purtroppo questa sarà la sensazione che accompagnerà i veterani (e anche i meno avvezzi al genere) per l’intera durata del gioco, e che rischierà di far arrendere anche i più determinati, a causa dell’eccessiva ripetitività dell’azione, evidenziata ulteriormente da meccaniche di gioco eccessivamente classiche. Persino l’evoluzione del personaggio riserva ben poche sorprese, offrendo un classico sistema di livellamento e un altrettanto classico sistema di scelta delle abilità ‘ad albero’, ben curato ma non contraddistinto da idee originalissime. La situazione fortunatamente migliora considerevolmente quando si tratta di massacrare orde e orde di avversari, grazie a skill ben calibrate (sia nel bilanciamento che nei tempi d’uso e di ricarica), un compagno animale tutto sommato non poi così stupido, e una discreta varietà tra la pletora di avversari pronti a farsi affettarearrostire. Ma il punto di forza, e al tempo stesso il vero tallone d’Achille di Torchlight, sono i dungeon. Il gioco si affida infatti alla generazione casuale degli stessi, rendendoli da un lato sempre vari e rigiocabili, ma dall’altro piuttosto lineari e privi di mordente: diciamo che questa è la classica scelta di design che o si ama, o si odia, per quanto possa essere stata ben calibrata e programmata in modo certosino, come in questo caso. Oltre a questo, avremo naturalmente decine di boss extra large da abbattere a suon di click (neanche troppi a dir la verità), che incontreremo di tanto in tanto tra un dungeon e l’altro. A condire il tutto ci saranno ovviamente le immancabili quest secondarie, che non vinceranno nessun premio per la memorabilità ma che si lasciano giocare ancora più facilmente della main quest, che già di suo soffre di una natura eccessivamente casual e quasi per niente hardcore, comune a molte produzioni indipendenti.
UNA PIACEVOLISSIMA SENSAZIONE DI GIA’ VISTO
Nonostante tutto questo, Torchlight riesce a divertire, e a trasmettere non poca spensieratezza a chi gioca, sfruttando (anche se non in modo eccelso) la tipica inspiegabile ‘magia’ degli Hack ‘n Slash ben fatti, che allietano interi pomeriggi senza un vero e proprio perché. Sarà forse merito della grafica, che oltre ad essere scalabile e non poi così ispirata, è davvero bella a vedersi e vanta di scenografie degne di nota, in certe aree. Per il sonoro si può fare tranquillamente un discorso a parte, dato che l’autore della colonna sonora di Torchlight è niente di meno che Matt Uelmen, che aveva già composto i brani che ci hanno accompagnati in Diablo, Starcraft e World Of Warcraft: e questo, è un biglietto da visita non trascurabile. In fin dei conti, il gioco si lascia godere per quanto non riesca a eccellere in nulla e ad introdurre nel genere ancora di meno. In effetti ci aspettavamo di più da un team composto da gente con così tanta esperienza alle spalle, ma siamo speranzosi per il prossimo indie game firmato Runic Games: le carte in regola c’erano già tutte, e con qualche accorgimento in più, Torchlight avrebbe potuto lasciare il segno. Pazienza, lo giocheremo in attesa di provare Diablo III!
Conclusioni
Torchlight soffre di seri problemi di autostima, che gli hanno impedito di provare a introdurre qualsiasi tipo di innovazione o caratteristica che avrebbe potuto dare un briciolo di personalità ad un titolo che, tutto sommato, è stato piuttosto curato in più o meno ogni suo aspetto. La grafica è piacevole e molto scalabile, il sonoro è sublime, le tre classi ben bilanciate tra di loro e le battaglie sono frenetiche e divertenti al punto giusto. Ma purtroppo le qualità di Torchlight si fermano qui, e facilmente si lasciano adombrare da un concept e un design troppo legati ai titoli Blizzard, che annullano qualsiasi possibilità di dare al gioco una certa personalità o comunque un’atmosfera ricercata, rendendo un lavoro così ben fatto una semplice scopiazzatura.
Marco “Nerevar” Maresca